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A CURA DELL'ASSOCIAZIONE DI STORIA LOCALE "E. ZANNI"

Il territorio di Casinalbo è sempre stato abitato, fin dalla preistoria, quando qui si trovava un villaggio di capanne, del tipo detto terramara. Il villaggio era situato dove oggi c'è la chiesa, mentre la vasta necropoli custodiva i resti della cremazione dentro vasi cinerari sepelliti in un campo lungo via Palazzi.

La terramara venne smantellata nella seconda metà dell'Ottocento: i resti archeologici hanno riempito un armadio nel Museo Civico di Modena, mentre il terreno, reso fertile dai residui organici , è stato scavato e venduto vantaggiosamente come concime, ed ha  contribuito in misura determinante a finanziare la costruzione dell'odierna Parrocchiale. La civiltà delle terramare finì in modo sconosciuto e non ebbe seguito diretto.

In epoca Romana, dopo qualche secolo, la zona era abitata, coltivata e frequentata, ma non c'era un centro urbano, dapprima si riconoscevano gli assi stradali che delimitavano i poderi della centuriazione, poi si svilupparono alcune fattorie autosufficienti, con annessa fornace per fabbricare mattoni.

Nel successivo  Medioevo, si cominciò a caratterizzare il territorio con manufatti tuttora riconoscibili.

Prima del Mille, venne scavato il canale che oggi chiamiamo di Corlo, utilizzando largamente l'alveo di un preesistente ruscello: scorre lungo la via Radici. L'opera fu decisa da Leodoino, vescovo-conte di Modena, che amministrava la citta per conto dell'Imperatore. Questo corso d'acqua venne anche definito Canale dei Mulini, perché se ne contavano molti lungo il suo percorso. Si direbbe che il principale scopo di tale opera idraulica fosse proprio quello di azionare macine per il grano ed altri opifici, prima ancora di fornire acqua per l'irrigazione, ed altri usi.

Non sappiamo se il Mulino di Casinalbo, detto anche "della Colonna",fosse contemporaneo all'apertura del canale, comunque la sua presenza è attestata fin dal Medioevo.

Il canale in centro 1935. Raccolta G. Corradini
                                Il canale in centro 1935. Raccolta G. Corradini.

Nel 1180 circa, venne scavato un secondo canale, detto di Formigine, che ancora scorre di fianco alla via Giardini. Si origina dal precerente al "Partitore"di via Rodello.

I mulini per macinare c'erano già, ed erano regolati da vincoli feudali, perciò il nuovo canale azionò soprattutto opifici.

Nel nostro territorio: il Maglio, bottega di un fabbro ferraio che operava nell'edificio conosciuto come "Carteria", prendendo il nome da una successiva attività; la Cartiera di Casinalbo, in centro, nell'edificio che gli anziani conoscono come Mulino Pisani; infine il Mulino del Prevosto, dopo la ferrovia, ora in territorio di Baggiovara, era una "gualchiera",cioè vi si trattavano i tessuti come il velluto. Nel corso dei secoli, in tali opifici vennero svolte disparate attività (grolla da tabacco, frantoio per olio di noci, zecca per coniare monete, ecc.) talvolta contemporaneamente.

Casinalbo ebbe un suo parroco a partire dal 1521, con don Guaitoli. È possibile che contestualmente sia stata costruita la prima chiesa, però il titolo di Santa Maria Assunta era usato anche precedentemente, e forse definiva tutto l'abitato. Don Giuseppe Tommasi Mazzi avanzò l'ipotesi di un segnacolo cristiano, forse un oratorio, nel luogo dove sorgerà la chiesa.

A metà del Seicento venne costruita in centro a Casinalbo l'Osteria del Portico; prima la licenza per tale attività ricettiva era riferita a un esercizio lungo la via Stradella, la quale col nome di Via dei Monti era allora la più importante sul territorio parrocchiale.

1963
1963

Il nome Casinalbo deriva da  "Casale Albini", cioè era riferito a una casa-fortezza di proprietà di un certo Albino. Denominazioni del genere erano più frequenti tra la fine dell'Impero Romano e l'Altomedioevo feudale.

L'attività economica più importante, fino a metà Novecento, era l'agricoltura, che fino a un secolo prima era stata l'unica attività.

Foto primi Novecento. Galline nell'aia e macero da canapa.

                                            Foto primi Novecento. Galline nell'aia e macero da canapa.

I proprietari della terra, per secoli, erano state famiglie aristocratiche con importanti incarichi nel Ducato Estense. Due famiglie si dividevano la maggior parte del territorio: i Morano, che facevano riferimento alla imponente villa di via Carducci, ed i Levizzani -Scapinelli che abitavano la villa di fianco alla chiesa; questi ultimi costruirono poi la villa ora sede del club "la Meridiana".

19161934

Altri ritagli di terreno, non contigui, appartenevano ad enti religiosi: oltre all'esiguo beneficio parrocchiale, c'erano proprietà di monasteri, conventi, parrocchie di Modena e non solo.

Erano eccezionali le famiglie proprietarie del fondo che lavoravano.

I contadini erano sottoposti a contratti di diverso tipo, i più frequenti erano: l'affitto, la mezzadria, la boaria.

L'affittuario pagava un canone prestabilito, poi restava padrone dei raccolti, però se questi finivano male, ci rimetteva del suo e si rovinava. Il mezzadro forniva la metà del bestiame, parte degli atrezzi e delle sementi oltre la forza lavoro, il resto lo metteva il padrone della terra. Era dimezzato il profitto, ma anche il rischio in caso di mala annata. Il boaro non aveva niente, all'infuori delle proprie braccia. Riceveva un compenso bastante alla sola sopravvivenza, a discrezione del padrone del terreno, ed essendo sempre analfabeta, poteva essere imbrogliato dal datore di lavoro, facilmente ma non necessariamente.

C'era però chi stava peggio: i braccianti stagionali, che lavoravano continuativamente solo in occasione della mietitura, della vendemmia, o di altri lavori legati al raccolto o alla preparazione della terra; i braccianti giornalieri erano assunti per lavori occasionali: un parroco li chiama "taglialegna" perché uno dei loro impieghi ricorrenti consisteva nel sradicare alberi e farli a pezzi; infine c'erano i servitori, che vivevano e faticavano in una famiglia di contadini in cambio di un piatto di minestra e di un giaciglio nel fienile.

I fatti storici riguardanti Casinalbo sono dati da eventi tragici subiti, come guerre carestie ed epidemie.

I contagi più gravi per il nostro paese furono: la peste del 1630, il colera del 1855, la febbre spagnola del 1917.

I fatti d'arme con conseguenze più tragiche furono i massacri al tempo delle guerre comunali nel Medioevo, quando fu distrutta la casa fortificata detta castello, le scorribande di soldataglie per lo più mercenarie tra il Quattrocento ed il Settecento, l'occupazione francese al tempo di Napoleone, quando i transalpini s'impadronirono (come sempre succedeva) delle scorte di fieno e generi alimentari, ed in più saccheggiarono l'osteria; infine ci furono i bombardamenti della seconda guerra mondiale.

Casinalbo bombardata. 1944
Casinalbo bombardata. 1944

La popolazione oscillava suppergiù intorno alle cinquecento unità fino al XVIII secolo, il minimo fu toccato dopo la peste del Seicento, quando morì più della metà delle persone e venne raddoppiato il cimitero, che prima occupava metà del sagrato, poi si scavarono fosse nel terreno già coltivato ad orto, dove ora sorgono la canonica e l'oratorio. (Niente paura, il terreno è stato bonificato da un pezzo!)

All'inizio del Settecento le case erano 67, di cui sette ville. A fine Ottocento erano censite 133 case comprese 27 ville, per 1300 abitanti. Le case coloniche erano spesso fatte coi sassi di fiume e tetto di assi appoggiate su travi e travetti, e sopra le tegole. Non è da escludere che altre parti delle abitazioni fossero di legno. È documentato in una relazione tecnica che l'osteria del Seicento aveva un portico di legno, paramento murario di sasso con angoli di mattoni. I sassi sono ancora visibili nelle cantine, dove sono stati riutilizzati nella ricostruzione ottocentesca.

Dunque le dimensioni della parrocchia erano rimaste inalterate per almeno tre o quattro secoli, poi in un secolo e mezzo circa il paese era raddoppiato. Cerchiamo di capire i motivi.

Innanzi tutto, l'immobilismo era stato determinato dall'economia: il territorio poteva nutrire quel numero di persone e non di più, inoltre l'elevata mortalità, soprattutto infantile, non consentiva la crescita demografica. A partire dalla fine del Seicento, ma specialmente nel secolo sucessivo, vennero fatti dei progressi nel campo dell'alimentazione, dell'igiene, della medicina e delle tecniche agricole.

Vennero recuperati a coltura tutti i terreni utili, risanando acquitrini, disboscando sterpaglie, bonificando, poi vennero selezionate le specie vegetali, utilizzando quelle più redditizie, ad esempio un tempo le spighe di grano avevano molti chicchi in meno rispetto quelle attuali. La patata  conosciuta dai tempi di Cristoforo Colombo, era ancora usata quasi solo come cibo per i maiali.

Venne ridotta l'incidenza delle malattie delle piante e degli animali allevati, o almeno si diede inizio a questo processo che dura tuttora. Rinforzando il fisico con una migliore alimentazione e conducendo una vita più salubre, vennero contenute le malattie epidemiche e la mortalità.

Tutto questo, a Casinalbo, fece aumentare la popolazione del 20% circa.

L'innovazione decisiva fu però l'eliminazione del maggese. Si trattava di una tecnica già praticata nel mondo antico: la terra era coltivata un anno si e un anno no, lasciandola a riposo per rigenerarsi: vi mandavano le pecore a pascolare, che intanto concimavano naturalmente. Il raccolto era evidentemente dimezzato rispetto le potenzialità.

Praticando una rotazione delle colture, si alternavano cereali, legumi, foraggio ed altre coltivazioni, perciò la terra non restava mai improduttiva. Fino a fine Ottocento, tutte le famiglie contadine avevano delle pecore, almeno una decina, e pochi bovini, due o quattro per trainare l'aratro, dopo le pecore vennero smesse e sostituite da vacche da latte, che in più per fertilizzare i campi producevano molto letame, a cui venivano aggiunte foglie, scarti vegetali e terra, per avere una quantità idonea a concimare tutti i terreni.

Crescendo il cibo disponibile e calando la mortalità, la popolazione potè aumentare, ed il numero delle case arrivò a raddoppiare, infatti alle famiglie bastavano poderi più piccoli, e quelli grandi vennero divisi. Ci fu così lavoro per i muratori ed altri artigiani, che prima erano braccianti, e vennero sfruttate le cave d'argilla per produrre mattoni. Sono ancora riconoscibili le buche delle cave delle fornaci: tra la via Sant'Ambrogio ed il cimitero, nel parcheggio del Green Park, la punta tra via Giardini e via Radici, ed un'altra in via Col di Lana che è stata colmata.

Ciminiera della vecchia fornace Bonacini. Fine Novecento.
Ciminiera della vecchia fornace Bonacini. Fine Novecento.

Intanto era cambiata la società in seguito agli eventi politici. Prima, in seguito alle guerre del Settecento, la rendita delle proprietà terriere subì forti sbalzi, e non pochi fallirono, finchè la permanenza delle truppe francesi mandò in crisi sia la proprietà nobiliare che quella ecclesiastica, i beni vennero confiscati e nazionalizzati, quindi venduti all'asta per finanziare le guerre di Napoleone.

Tra gli acquirenti, in tutto il nord Italia, figurano diversi ebrei, che a causa delle leggi restrittive allora vigenti, non potevano possedere terreni, perciò si dedicavano ad attività commerciali, finanziarie, bancarie e professionali. Quindi avevano sia il denaro per comprare che il desiderio di diventare proprietari; in più l'offerta di appezzamenti era maggiore della domanda, ed i prezzi dovevano essere convenienti.

Nel corso dell'Ottocento diverse famiglie ebraiche avevano ville e poderi a Casinalbo: ricordiamo la famiglia Sacerdoti (villa Meridiana), la famiglia Guastalla (villa attigua alla Carteria), ed altre famiglie in via Paolucci.

Se in un primo tempo le ville erano meglio definite come case padronali, riconoscibili per la struttura solida e l'assenza di stalle e bassi servizi, ora le case di villegiatura avevano un aspetto decoroso, ornato di abbellimenti artistici ed architettonici negli stili tra rococò e liberty.

Non esisteva quasi più la grande proprietà aristocratica, ma i terreni erano un bene rifugio della borghesia, che qui investiva e speculava: i proprietari venivano sempre dalla città ed erano: medici, avvocati, ufficiali e professionisti in genere. Avevano creato il club dei villeggianti e organizzavano spettacoli teatrali, musicali e sportivi per sè e per il paese: era l'aspetto festoso della bell' époque.

Venne promossa anche una esposizione di eccellenze alimentari.

La mostra fu allestita in un padiglione appositamente costruito dal falegname Franchini.
La mostra fu allestita in un padiglione appositamente costruito dal falegname Franchini.

Nel 1833 venne inaugurata la linea ferroviaria Modena-Sassuolo, che col suo tracciato tagliava la campagna, individuando una striscia tra i binari e la strada maestra troppo stretta per essere coltivata, allora lì vennero costruite case per artigiani, bottegai ed anche operai, in piccoli appartamenti affittati, semmai sottotetto.

1908. Botteghe e negozi al livello della strada. Nel sottotetto alloggiavano famiglie operaie.
1908. Botteghe e negozi al livello della strada. Nel sottotetto alloggiavano famiglie operaie.

Casinalbo si qualificò allora come paese intraprendente, aperto a tutti gli aspetti del progresso, con una forte presenza operaia che diventò la componente prevalente della società, non numericamente, ma come stile di vita e di pensiero.

Il settore economico più significativo diventò ben presto quello dei  salumifici, con ditte inizialmente a conduzione familiare, poi crebbero espandendosi per numero di aziende, per qualità del prodotto e quantità di dipendenti. I due marchi principali raggiunsero nel corso del Novecento rinomanza ed importanza nazionale. Il settore sarà in grado di assorbire buona parte dei lavoratori locali che avevano lasciato un'agricoltura non più redditizia, ed anche molti giovani che avevano conseguito titoli di studio indirizzati al lavoro d'ufficio.

L'ufficio postale era presso il salumificio. 1905Lo stabilimento ricostruito dopo la guerra. 1959
L'ufficio postale era presso il salumificio. 1905                                                           Lo stabilimento ricostruito dopo la guerra. 1959

Casinalbo, insomma, partecipò attivamente alla crescita iniziata nel secondo dopoguerra e proseguita negli anni sessanta e settanta.

La popolazione dalla fine della guerra ad oggi risulterà più che raddoppiata, raggiungendo le seimila unità.

Anche le case saranno costruite secondo le esigenze, ed il loro stile testimonia sia l'epoca di costruzione che il ceto sociale.

Il cruccio di qualcuno è che il campanile non si collochi nel centro geometrico del paese, ma per fortuna il parroco che lo fece costruire lo volle bello alto, cosicchè è visibile da ogni angolo della parrocchia.

Il campanile costruito nel 1960.
Il campanile costruito nel 1960.

 

L'ASSOCIAZIONE HA PUBBLICATO DIVERSI SCRITTI SU CASINALBO, E COLLABORATO A QUASI TUTTI I LAVORI SULL'ARGOMENTO.
CITIAMO IL LIBRO "SET E MEZ" SU ASPETTI  FOLKLORISTICI, "LA CHIESA DI CASINALBO", "IL DONO CHE NON SCORDIAMO" SULL'ASILO DELLE SUORE, ED I "QUADERNI FORMIGINESI" USCITI DAL 1983 AD OGGI, DUE FASCICOLI OGNI ANNO: CONTENGONO ARGOMENTI VARI SU TUTTO IL COMUNE, EVENTI STORICI, PERSONAGGI, EDIFICI NOTEVOLI, ASPETTI DEL TERRITORIO.